Il Kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), è una tecnica giapponese che consiste nel ricostruire oggetti rotti o fratturati con un materiale prezioso, l’oro, di solito, unito a un collante naturale (farina e acqua). Nel Kintsugi, “il gesto riparativo, l’arte dell’attesa, della precisione e della pazienza” dona ancora più valore al manufatto, che da oggetto di uso comune diventa un oggetto “artistico”. In altre parole, l’oggetto non viene gettato via – come spesso accade quando rompiamo qualche cosa – ma acquista una nuova qualità, che lo arricchisce e ne accresce il valore estetico. l Kintsugi ha potente valore simbolico: sottolinea come la cura delle ferite possa non solo permetterci di guarire, ma renderci in qualche modo più “preziosi". L'importanza di mettere insieme i propri cocci e continuare a vivere è una metafora della vita, semplice e tutt’altro che banale. Una persona che attraversa un momento doloroso e drammatico deve non solo rimettere insieme i pezzi e a valorizzare le proprie e cicatrici, ma anche andare oltre. Che cosa insegna quest’arte giapponese? Spesso tendiamo ad attribuire alla crisi e al senso di vuoto, di dolore e di sofferenza che ne consegue un valore solo negativo: il percorso terapeutico permette di affrontare l’esperienza dolorosa come un momento di crescita che, “riparando la frattura con l’oro”, tiene di nuovo insieme i pezzi e dona una nuova forma, più ricca della precedente. Inoltre aiuta a comprendere che per cambiare può essere necessario passare attraverso un disagio, una “rottura”. La bellezza prende forma proprio dalle imperfezioni e dalle fragilità Dott.sa Emma Montorfano Se volete approfondire l'argomento, vi proponiamo di guardare questo video. Buona visione!
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L’inserimento al nido è un momento molto delicato e importante per i bambini, perché è la prima esperienza significativa di distacco dalla famiglia. Al bambino viene richiesto molto: lasciare l’ambiente familiare, adattarsi a ritmi e adulti diversi, condividere gli spazi con altri bambini. Ma viene chiesto molto anche al genitore: lasciare, a volte per la prima volta, per lungo tempo il proprio figlio; fidarsi degli adulti che dovranno prendersi cura di lui; tollerare le proprie emozioni in relazione alla separazione e al distacco; saper tollerare e gestire le reazioni del proprio bambino. Il momento del distacco e del saluto fa spesso ripensare il genitore ad altri momenti di distacco e separazione, e la reazione degli adulti è influenzata proprio da esperienze passate positive o negative: esserne consapevoli è un primo passo.
Spero che queste riflessioni possano esserti di aiuto! Dott.ssa Daniela Rosella
Psicologa Psicoterapeuta Comunicare ai figli eventi che coinvolgono i genitori emotivamente è spesso difficile. Quando si decide di parlarne ai figli occorre che i sentimenti negativi si siano almeno parzialmente sedimentati, in modo da essere il più predisposti possibile all’esperienza emotiva e alle reazioni dei figli. Importante è decidere come coppia genitoriale, perché questa sì rimane anche con la fine dell’unione coniugale, in che modo dare la comunicazione della separazione e con quale spiegazione accompagnarla. Per i bambini più piccoli può essere di aiuto l’utilizzo di storie e favole che narrano della separazione e delle emozioni connesse, così come degli eventi che accadranno. Può essere utile comunicare in momenti individuali e diversi della separazione ad ogni figlio. È importante che le comunicazioni vengano date insieme come genitori e che siano coerenti. Non devono essere inseriti i figli all’interno della conflittualità coniugale, per questo l’annuncio della separazione non deve comprendere recriminazioni e rancori di un genitore verso l’altro. Inoltre i bambini vanno rassicurati sugli aspetti affettivi, sul mantenimento dei rapporti con entrambi i genitori e della collaborazione dei genitori rispetto i figli. È importante raccogliere le reazioni dei propri figli, cercando di rispettare gli aspetti di rabbia e tristezza, rassicurando il bambino che non ha colpa nel processo di separazione. Qualora, come è comprensibile, esistano conflittualità e rancori che intralciano il raggiungimento di un accordo relativo alle modalità di comunicazione con i propri figli, è bene che la coppia si rivolga ad uno specialista che possa aiutarli a trovare una strada comune. Il processo di separazione non necessariamente è di per sé un trauma, dipende da come viene gestito dai genitori e dalla loro elaborazione della separazione. Dott.ssa Daniela Rosella
Psicologa Psicoterapeuta Le prime tappe di sviluppo dei bambini, come la motricità e il linguaggio, sono momenti importanti e può essere arricchente e coinvolgente aiutare i propri figli in queste fasi dello sviluppo. Un’attività sicuramente importante è la lettura. Leggere ad alta voce ai bambini è una attività fondamentale: rafforza la relazione tra l’adulto e il suo bambino ed è la singola attività più importante che i genitori possano fare per preparare il bambino alla scuola. Se il bambino è abituato alla lettura quotidiana di libri, adatti ovviamente alla sua età, avrà un vocabolario più ricco, si esprimerà meglio e sarà più curioso di leggere e di conoscere. Leggere ad alta voce è un’attività piacevole, inoltre nel bambino crea l'abitudine all'ascolto, aumenta i tempi di attenzione, accresce il desiderio di imparare a leggere. La voce della mamma, è quasi una magia per i bambini. Nella lettura condivisa non servono particolari capacità, basta ritagliarsi un momento disteso e tranquillo in cui condividere la lettura del libro, quando possibile anche scelto dal bambino, e intraprendere una lettura ricca di scambi affettivi. Si può dedicare alla lettura un momento abituale e tranquillo della giornata, anche per pochi minuti, prima di dormire o dopo aver mangiato, oppure nei momenti di attesa, ad esempio durante i viaggi. Inoltre si può iniziare a fare qualche gioco con le parole , appena i bambini avranno l’età giusta, divertendosi con le rime e con le lettere insieme. E’ importante arricchire i momenti di scambio verbale con i figli con descrizioni e spiegazioni. Quando si parla ai bambini li si deve guardare, in uno scambio vis a vis, così che possano vedere, oltre che ascoltare, la produzione delle parole. I bambini vanno incoraggiati sempre e lodati per ogni piccola nuova conquista, anche in campo lessicale. Gli scambi affettivi, arricchiti di parole, sono quelli più efficaci e importanti. Dott.ssa Daniela Rosella
Psicologa Psicoterapeuta L'inserimento del bambino all'interno del sistema scolastico e l'apprendimento dell'italiano come seconda lingua, mettono in gioco diversi fattori, sia di tipo individuale che ambientale, che possono influenzare in modo importante l'adattamento e l'apprendimento. Il compito dell’insegnante è complesso e delicato, infatti l’ alunno deve compiere tante modificazioni: adattarsi al nuovo contesto di accoglienza, acquisire una seconda lingua, imparare a leggere e a scrivere in una nuova lingua, scoprire il mondo di accoglienza senza perdere le sue origini. Il nuovo arrivato passerà un primo periodo in silenzio in cui, dopo un iniziale momento di confusione e smarrimento, inizierà ad accumulare esperienze e conoscenze che gli permetteranno poi di iniziare a muovere i primi passi e a dire le prime parole. Per aiutarlo si possono utilizzare le immagini associate alle parole, costruendo un “pronto soccorso” linguistico che aiuterà a comprendervi a vicenda nell'esplicitazione di richieste e bisogni, e aiuterà i compagni di classe a interagire con lui. In classe, attraverso giochi e attività, lo si aiuterà a inserirsi nel gruppo e con i compagni si potrà scoprire il mondo di provenienza aiutandosi con foto, immagini e dizionari illustrati bilingue. Lo si può aiutare ad acquisire la nuova lingua semplificando il lessico e le frasi che vengono usate, agevolando l’interazione tra i pari e proponendo lavori didattici in piccolo gruppo; è importante non forzare, né sommergere di input linguistici. Di forte aiuto potrebbe essere un facilitatore linguistico che possa, con attività mirate, aiutare il processo di alfabetizzazione. E’ anche importante curare la relazione con la famiglia, non dando mai per scontato nulla e mettendosi in ascolto della storia e del progetto di migrazione. Dott.ssa Daniela Rosella Psicologa Psicoterapeuta
La balbuzie è una condizione in cui l’eloquio è caratterizzato dalla frequente ripetizione o dal prolungamento di suoni, sillabe o parole o da frequenti pause ed esitazioni che disturbano il flusso ritmico del parlare. Questa condizione si riflette sulle relazioni interpersonali, sul benessere personale e psicologico. La balbuzie primaria, frequente nei bambini sotto i 3 anni che prolungano o ripetono le sillabe, solitamente fa parte del normale processo di apprendimento del linguaggio e tende a risolversi con il tempo. È il caso di intervenire quando la balbuzie continua in modo marcato al di sopra dei quattro anni. La balbuzie secondaria si manifesta dai 4 ai 6 anni e tende a consolidarsi nel tempo. In questo tipo di balbuzie i blocchi e i prolungamenti delle sillabe sono più frequenti, accompagnati da ansia o da sintomi somatici. Non appena si sospetti che la mancata fluenza nel linguaggio del proprio figlio sia frequente e invalidante occorre rivolgersi ad uno specialista del linguaggio, con esperienza di lavoro sulla balbuzie. E' importante intervenire tempestivamente, poiché la ricerca ha stabilito che la prognosi è tanto migliore quanto è minore l'intervallo temporale che separa l'insorgenza della balbuzie dal primo intervento terapeutico, onde evitare che la balbuzie diventi refrattaria a qualsiasi intervento terapeutico. L'obiettivo primario della terapia è evitare la cronicizzazione, aiutando il bambino a usare le tecniche di modificazione della fluenza al fine di diventare un'efficace comunicatore, riducendo il numero delle disfluenze ed eliminando condotte di evitamento. La terapia della balbuzie è particolarmente diversificata a seconda dell'età del bambino e può essere diretta (con il bambino) o indiretta (con la famiglia) o mista (bambino e famiglia), associando spesso l’intervento logopedico a quello psicologico. La cosa più importante da fare, quando il proprio figlio balbetta, è essere come genitori dei buoni comunicatori in modo da fornire un modello verbale che potrà essere facilmente appreso e riprodotto dal bambino. È importante mantenere il contatto oculare mentre si parla al bambino o lo si ascolta, non anticipare il suo pensiero, finendo le parole o le frasi pronunciate, non mettergli fretta mentre parla, farsi vedere interessati a quanto dice e non a come lo dice, cercare di parlare usando un tono di voce calmo, rilassato e lento, ridurre il numero delle domande poste, rispettare i turni comunicativi, usare forme verbali, frasi e parole che siano comprensibili. Dott.ssa Daniela Rosella Psicologa Psicoterapeuta Tanti bimbi di tre o quattro anni, non si accontentano di brevi risposte alle loro domande e desiderano tutta l’attenzione del genitore. A volte è difficile spiegare con termini semplici quanto ci chiedono, altre domande ci spiazzano o ci mettono in imbarazzo, a volte è difficile trovare il tempo per poter dare l’attenzione che il bambino desidererebbe. Per prima cosa è importante riflettere su quali tematiche ci imbarazzano e creano disagio nella risposta, questo aiuta noi genitori a scoprirci e rimetterci in gioco. È sempre importante rispondere al bambino in modo rispettoso, senza minimizzare o liquidare le domande con sufficienza, modalità a volte dovute alla propria incapacità di trattare alcuni argomenti “spinosi”. Possiamo, attraverso la risposta fornita, rispecchiare le emozioni che il bambino vive nel porci una determinata domanda, soprattutto se legata ad aspetti di paura, morte, malattia che potrebbero coinvolgere il bambino, la sua famiglia o il gruppo dei pari, rassicurando e supportando. Ricordate che aiuta il bambino a scoprire il mondo, a sviluppare la propria intelligenza e arricchire il proprio punto di vista se si presenta la propria opinione in modo rispettoso delle visioni degli altri, aprendo alla possibilità dell’esistenza di altri vertici osservativi: per questo è importante evitare di dare giudizi. Se c’è una tematica che come genitori facciamo fatica ad affrontare o che viene spesso sollecitata dalle domande del bambino, possiamo usare le fiabe e i libri per aiutarci nella spiegazione. Nel fornire la risposta è importante essere sempre sinceri e avere pazienza. È altresì importante essere curiosi del proprio bambino e del suo approccio al mondo, solo così anche lui, stimolato a mantenere la propria curiosità, potrà poi affacciarsi al mondo dell’apprendimento e della conoscenza con apertura e desiderio. Dott.ssa Daniela Rosella Psicologa Psicoterapeuta I ragazzi usano il cellulare e il web per diversi scopi, per molti diviene un modo per coltivare le conoscenze o farne di nuove, ma è anche un modo per non rimanere fuori dal gruppo, poiché diviene oggetto di conversazione.
L’atteggiamento da tenere è quello di una sana apertura mentale verso i nuovi mezzi, che non devono essere visti come una minaccia, anzi, possono rivelarsi una risorsa se utilizzati in maniera corretta. Non c’è dubbio, però, che l’utilizzo del web vada regolato e monitorato. Un eccesso può segnalare delle difficoltà importanti e ci sono alcuni segnali che non vanno sottovalutati: ad esempio il ritiro dalle relazioni reali, le modificazioni del sonno e dell’appetito, l’irascibilità e il nervosismo legato all'uso della tecnologia, il calo del rendimento scolastico, l’eccessivo tempo investito sul web. L’adolescente, in cerca del confronto con i pari e della propria identità, trova a volte rifugio nelle relazioni virtuali poiché permettono di elaborare un’identità altra: il web diventa uno spazio psicologico in cui il ragazzo, può proiettare i propri vissuti e le proprie fantasie, arrivando a volte a disinvestire sul mondo reale. L’uso della rete potrebbe quindi portare gradualmente a una restrizione delle relazioni con gli altri, in quanto l’esperienza virtuale viene percepita e vissuta come più agevole rispetto alla realtà, o diviene necessaria per compensare stati di inadeguatezza o per sviluppare parti del sé non adeguatamente espresse nella vita di tutti giorni. Inoltre l’esperienza virtuale può far accelerare la perdita progressiva della capacità di discriminare il confine tra il mondo digitale e quello reale, fino a compromettere l’integrità personale e la vita sociale. Per evitare che un utilizzo “sufficientemente buono” possa diventare fattore di rischio o segnale di disagio è fondamentale il ruolo della famiglia. Bassi livelli di monitoraggio parentale, inconsistenza della disciplina, incoerenza tra i coniugi e scarso supporto sociale sono associati a comportamenti di dipendenza e altri comportamenti a rischio. È importante che il genitore sia disponibile ad ascoltare e a condividere i problemi dei figli durante tutto il percorso dello sviluppo dell'adolescenza, senza giudicare, ma dando comprensione agli aspetti emotivi connessi all'esperienza. La percezione di poter contare su relazioni familiari stabili e affidabili incide positivamente sull'immagine di sé e ha una funzione protettiva sulle condotte devianti o su comportamenti che possono essere un pericolo per la salute fisica dell'adolescente. Inoltre è importante evitare di lasciare i figli soli nell'esplorazione dei nuovi mezzi: prima di permetterne l’utilizzo è necessario se ne spieghino le modalità, le regole e i rischi, la differenziazione tra ciò che è privato e ciò che può essere reso pubblico, oltre a porre limitazioni laddove possibile (parental control, filtri, etc.). È fondamentale limitarne l’utilizzo temporalmente e costruire un dialogo intorno a questi temi, evitando le discussioni, ma mostrando reale interesse. Per approfondire potete leggere anche http://www.adolescienza.it/sos/sos-genitori-adolescenti/cosa-significano-i-social-network-per-i-ragazzi-di-oggi-e-qual-e-il-senso-del-loro-vivere-in-rete/ Dott.ssa Daniela Rosella Psicologa Psicoterapeuta Il cambiamento a cui una coppia va incontro quando nasce un bambino, riguarda diverse aree, si passa dall’essere figli ad essere genitori, si modifica l’aspetto di coppia introducendo un terzo. Diventare genitori presuppone la creazione di uno spazio mentale e relazionale in cui convergono diversi aspetti: la propria storia, il mondo affettivo, i legami di attaccamento, le fantasia sul bambino ideale e sulla genitorialità propria e del partner, gli aspetti di narcisismo, la capacità di vivere relazioni triangolari, la capacità di contenere i propri stati emotivi, la flessibilità, l’autonomia e la dipendenza. Diventare genitori non significa solo generare la vita, la genitorialità è un processo attraverso cui è possibile imparare a diventare genitori sufficientemente buoni, quindi capaci di prendersi cura e rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli. Si deve ricordare che si cresce insieme ai figli, anche perché ogni fase evolutiva dei figli implica anche una modificazione della genitorialità, pena non saper più rispondere in modo sufficientemente buono ai bisogni dei propri bambini. Winnicott, pediatra e psicoanalista, parlava di genitore sufficientemente buono perché è importante rispondere ai bisogni dei figli in modo da adattarsi a loro, senza pensare però di poter essere onnipotenti. È quindi importante mettersi continuamente in gioco, ripensare e interrogarsi sulle scelte e sui cambiamenti, propri e dei figli, mettersi nei loro panni, domandare loro cosa provano e come si sentono, senza dare per scontato che sappiamo già tutto. Può essere utile confrontarsi con altri genitori, leggere e informarsi, confrontarsi con il partner e con i propri genitori, con gli educatori che entrano in contatto con il vostro bambino. È importante che in questo cammino di scoperta del figlio reale ne sosteniate la crescita, stimolando il bambino e accettandolo per quello che è, con la curiosità di scoprire giorno dopo giorno la piccola persona differenziata che cresce a fianco a voi. Dott.ssa Daniela Rosella Psicologa Psicoterapeuta |